A 13 anni la prima corsa campestre, a 18 i primi titoli nazionali e a 19 il battesimo come atleta professionista nel Centro Sportivo Esercito, che oggi lo vede anche allenatore: quella di Marco Najibe Salami è una storia di passione viscerale per l’atletica, nata da giovanissimo, coltivata in una carriera da mezzofondista e siepista e reinventata, ora, a 36 anni, con il debutto nella maratona (quarto posto assoluto e secondo di categoria alla Maratona di Venezia del 2021). Una vita di traguardi, vittorie e duro allenamento.
Alla Community FLOKY svela tutti i suoi segreti per prepararsi a una maratona, godersi ogni chilometro in allenamento e in gara e non darsi mai per vinti.
Cosa hai provato a tagliare il tuo primo traguardo?
Si dice “Volere è potere”: per me è stato quanto mai vero quando ho vinto la gara che mi ha portato a diventare atleta professionista. Ai tempi lavoravo come commesso. Era marzo, quasi aprile, iniziava a fare caldo e non riuscivo più ad allenarmi in pausa pranzo come al solito. Volevo partecipare a un campionato nazionale e ho chiesto e ottenuto dal mio capo 20 giorni di ferie per andare in montagna ad allenarmi. Ho partecipato alla gara, ho vinto il titolo e sono diventato professionista. È stata una grande vittoria: da lavoratore sono diventato “lavoratore dell’atletica”.
Recentemente hai esordito nella maratona. Come mai questo cambiamento dopo una carriera da mezzofondista?
Avevo quasi smesso, mi ero dato per finito: ho avuto un brutto infortunio e, a 36 anni, ero ormai a fine carriera. Stavo iniziando a seguire come allenatore alcuni atleti giovani dell’esercito. Poi ho conosciuto Piero Incalza, preparatore atletico, che mi ha detto che secondo lui potevo dare ancora qualcosa. Mi sono rimesso ad allenarmi e ho ricominciato ad andare forte. Mi sono buttato sulla maratona perché volevo dimostrare di essere un atleta versatile, capace di correre forte sia negli 800 metri che nella maratona: con il debutto a Venezia posso dire di averlo dimostrato. E avevo le calze FLOKY con me! Le ho indossate per la prima volta in gara, senza averle mai provate in allenamento. Una follia! Però dopo 42 km non mi erano venute vesciche, non sentivo le cuciture e non avevo scottature sotto il piede. Un miracolo! Me ne sono innamorato, mi sembrava di avere un supporto alla scarpa. Un calzino è solo un calzino, FLOKY invece mi tiene il piede più stabile, in assetto.
Come si svolge la tua giornata di allenamento tipo?
Io corro 200 km alla settimana, distribuiti tra mattina e pomeriggio. In Kenya, dove sono andato per allenarmi ala Maratona di Venezia, ho raggiunto punte anche di 210-220 km, su sterrati, saliscendi, tratti lunghi, collinari, sassi, fino a 2400 metri di altitudine. Sono andato in Kenya apposta per cercare condizioni difficili, che mi permettessero, poi, una volta a casa, di concentrarmi a raccogliere la miglior performance possibile. Le calze FLOKY mi danno un gran sostegno, sia in gara che in allenamento, soprattutto quando ho le gambe affaticate, quando sono fiacco, quando ho male ai tendini. Noi maratoneti abbiamo tantissimi dolori e FLOKY mi aiuta molto in questo. Le utilizzo sempre, proprio perché mi danno solievo: mi tengono in scarico il tendine e i muscoli, evitandomi di usare il rullo per ore o di rivolgermi a un fisioterapista tutti i giorni. Quando una gara si avvicina e devo iniziare a scaricare, cioè abbassarmi a 150 km settimanali, utilizzo la Run Up Long o Short, anche per il recupero post-allenamento. In gara passo alla Run Up Medium.
In una gara, specialmente una lunga come la maratona, come superi i momenti critici?
Correre una maratona è dura. Il mio allenatore nei mesi precedenti la gara di Venezia mi ha portato a uno stress mentale pazzesco: creava condizioni di fastidio in allenamento. Per esempio, se correvo 30 km, un chilometro era sulla sabbia e uno sull’asfalto. Oppure al 22° chilometro faceva in modo che una bicicletta mi tagliasse la strada. Oppure ancora mi metteva davanti un corridore appena più forte perché mi innervosissi. Io le prime volte mi arrabbiavo, arrivavo stremato, ma anche quello è allenamento. In gara per esempio può succedere che un volontario distratto con la bandierina ti faccia sbagliare strada, o che il corridore davanti a te faccia cadere la tua borraccia: in quelle situazioni devi mantenere la calma, non puoi permetterti di innervosirti. Devi trovare una soluzione per uscirne nel migliore modo possibile. E questa cosa la prepari in allenamento.
E invece qual è il tuo momento preferito?
Da ragazzino soffrivo molto la gara: la settimana prima, come per un esame in università, andavo in tilt, mi scordavo gli allenamenti fatti, perdevo convinzione, pensavo di non essere pronto. Adesso, da atleta maturo, la gara è il momento che mi godo di più in assoluto. Sono consapevole del lavoro fatto e ho fiducia in me stesso: una volta che arrivo lì non mi faccio prendere dall’emozione, rimango razionale e so di essere pronto. In maratona possono succedere mille cose e non si possono tenere sotto controllo tutte, quindi è inutile agitarsi. Meglio rimanere concentrati e non pensare al risultato finale.
Qual è la prima cosa che ti passa per la mente alla partenza? E l'ultima all’arrivo?
Allo sparo ti passa una vita davanti, ti vengono mille dubbi, però poi ti concentri e pensi a portarla a casa, in qualsiasi modo. All’arrivo, sia che vada bene, sia che vada benissimo, sei felice per forza: non può andare male, portare a casa 42 km non può che renderti felice. Fare una maratona è quasi come scrivere un libro: quando parti hai in mano un libro vuoto, e da lì in poi scrivi una storia, può succedere di tutto, può andare tutto a meraviglia o può andarti tutto storto. All’arrivo a volte si piange, ma per il nervoso, perché si scarica la tensione di aver retto fino alla fine, si sente la soddisfazione di non aver mollato nonostante a ogni chilometro si avesse la tentazione di farlo.
Cosa diresti a una persona che volesse avvicinarsi a questo sport, anche senza avere mire agonistiche?
Gli consiglierei di fare le cose a tappe. Tutti partono direttamente dalla maratona, perché hanno un ideale romantico. Sarebbe bene andare per step: dai 5 km ai 10, poi la mezza maratona e solo alla fine la maratona. È importante arrivarci bene, preparando gradualmente la muscolatura. La corsa è qualcosa che si fa innanzitutto per sfogarsi, per stare bene: fare le cose per gradi permette di portarla avanti a lungo. Se ci si fa male, si rischia di portarsi dietro i danni per un sacco di tempo. Il consiglio è preparare una maratona in non meno di un paio d’anni, dando continuità all’esercizio fisico.
Cosa secondo te non può mancare nell'allenamento di un maratoneta?
L’alimentazione è fondamentale, più delle fatiche dell’allenamento, perché è la nostra benzina. Un’altra cosa importante è l’idratazione: imparare ad allenarsi cercando di bere in corsa. Per un maratoneta è una tra le cose più difficili in assoluto: ogni 5 km prendere la borraccia e bere mentre si è a un ritmo altissimo. Si fa molta fatica, a volte vengono perfino i conati. Mai presentarsi in gara senza aver provato a bere mentre ci si allena a ritmi alti, perché può creare grossi problemi. E poi il riposo. Quando hai questi carichi di lavoro, se manca il sonno o se non recuperi correttamente è come se non lavorassi. Spesso si pensa che un allenamento sia efficace solo se si arriva alla fine sfiniti, invece conta tutto il resto che c’è intorno.
Qual è un luogo comune sull’atletica che per esperienza sai non essere del tutto vero?
Una cosa che mi sono sentito dire spesso è che la maratona va fatta quando si ha un’età matura. Non sono d’accordo: da atleti professionisti, se preparati bene, la si può fare anche a vent’anni. Relegare la maratona a fine carriera è limitante, va fatta già da subito per abituarsi ai chilometri, soprattutto se si è lenti sulle distanze corte. Che è il contrario di quello che consiglio per un amatore! Un altro luogo comune è che chi corre la maratona si rallenta. Nulla di più falso! Chi corre tanti chilometri impara a correrli tutti e a gestirli bene, senza chilometri lenti: il risultato è che corre forte anche nelle distanze più brevi. Lo stiamo riscontrando in molti atleti professionisti, ora che questo tabù è stato sdoganato, tanto che a volte noi atleti di vecchia data ci chiediamo dove saremmo se avessimo iniziato presto a correre le distanze più lunghe.